Isgrò

Emilio Isgrò, nato a Barcellona di Sicilia (Messina) nel 1937, vive e lavora a Milano.

L’integrazione dei linguaggi dell’arte fonda l’intera attività artistica di Emilio Isgrò sviluppatasi, a partire dagli esordi come poeta visivo, in un percorso personale forte del suo continuo rinnovarsi e della vastità degli suoi campi di indagine.

Trasferitosi a Milano nel 1956, anno in cui pubblica la raccolta poetica Fiere del Sud, nel 1964 Emilio Isgrò realizza le sue prime cancellature, contribuendo allo sviluppo del variegato movimento dei poeti visivi attraverso un intervento originale, che radicalizza le sperimentazioni sul linguaggio visuale nel gesto abrogativo della parola stessa. Ma, come afferma Emilio Isgrò nella sua “Teoria della cancellatura”, “Una macchia che copre una parola, la separa dal mondo, la libera”. Si tratta, dunque, di un intervento volto a recuperare il valore semantico della parola, naufragata nella babele della comunicazione mediatica.

Alla prima cancellatura, effettuata intervenendo manualmente su uno stralcio di giornale per coprirne alcune parti, ne seguiranno tante altre secondo una pratica perseguita sistematicamente dall’artista su una moltitudine e varietà di testi e libri, inclusa l’Enciclopedia Treccani (1970).

L’opera su carta intitolata Telex, del 1973, entrata a far parte del primo nucleo della collezione permanente del Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Palazzo Belmonte Riso, appartiene a questo ambito della ricerca artistica di Emilio Isgrò. Intervenendo su un testo simbolo della comunicazione telegrafica, ampiamente usata negli anni Sessanta, l’artista ripropone la cancellatura come cesura e cerniera testuale, ma anche come strumento che, ricontestualizzando le parole che la macchia di china risparmia, conferisce loro nuova forza semantica e nuovo valore iconico.

Cancellare, dunque, per riaffermare, riportare alla luce, restituire alle parole le loro qualità primigenie, analogamente a quanto nel 1971 aveva fatto con l’installazione Dichiaro di non essere Emilio Isgrò: negare se stesso per riaffermare criticamente la propria esistenza e il ruolo dell’artista in una società mercificata che tutto fagocita. Un ruolo, del resto, che Isgrò ha sempre sostenuto anche attraverso gli scritti critici che hanno accompagnato tutta la sua attività, dalla “Dichiarazione 1” del 1966 sulla poesia come “arte generale del segno” alla  “Teoria del seme” del 1998, che affianca la realizzazione, nello stesso anno, di Seme d’arancia per Barcellona di Sicilia, opera simbolo della rinascita dei popoli mediterranei nel nome dell’arte. Operazione culturale, quest’ultima, che Emilio Isgrò aveva già sperimentato negli anni Ottanta partecipando alla rinascita e al riscatto della nuova Gibellina con Gibella del martirio (1982) e la traduzione in dialetto siciliano dell’Orestea di Eschilo (1983).

A partire dagli anni Ottanta i lavori di Isgrò si caratterizzano anche per l’inserimento, a fianco delle parole, di decalcomanie o collage fotografici di farfalle, api, fino alle più recenti formiche, in un gioco narrativo, spesso declinato in site specific, che rinnova ulteriormente le sue sperimentazioni sul linguaggio e la comunicazione.

Rosaria Raffaele Addamo