Bianchi

Domenico Bianchi nasce ad Anagni nel 1955, vive e lavora a Roma.

Interessato ai processi generativi della natura, che indaga attraverso un rigoroso controllo della materia, Domenico Bianchi ha nel corso degli anni approfondito una ricerca artistica chiara ed esplicita sin dai primi lavori, intesi come complementari alle creazioni del mondo organico, né mimetici di quello, né rappresentativi, semplicemente “altro”, eppur reali e presenti, in forza e in virtù del suo attingere ai processi naturali, alle conoscenze fisiche e chimiche, nonché alla storia e alla tradizione.

I suoi lavori evocano una dimensione micro e macro cosmica, nella quale il segno e la linea, di matrice organica, generano opere che possono definirsi pittoriche, ma suggeriscono profondità immersive di luce e di spazi.

Materiale prescelto dall’artista è la cera. L’uso della cera, materiale naturale e antico, entrato a vario titolo nel campo dell’arte – basti pensare alla produzione scultorea collegata al metodo della fusione a “cera persa” – consente di connettere, ancora una volta, il lavoro di Domenico Bianchi alla tradizione figurativa e alle qualità tridimensionali dei suo lavori. La cera rinvia anche alla tecnica delle incisioni sulle tavolette ed evoca l’idea di una scrittura e riscrittura continua di linee e di segni che emerge anche dai lavori di Domenico Bianchi.

Alla linearità e fluidità del suo disegno, che si stratifica in trasparenza nei micropassaggi cromatici della cera e delle particelle che la compongono, delineando una cosmologia di nuove terre e pianeti, Domenico Bianchi affianca una ricca tessitura puntinata e alla cera associa il palladio, come nel lavoro Senza titolo, del 2015, donato al Museo.

L’opera, realizzata in palladio e cera su vetroresina, si lega all’attività espositiva del Museo, in quanto è stata presentata all’interno di un progetto appositamente pensato per la Cappella dell’Incoronata di Palermo, dove l’artista ha realizzato una personale (19 dicembre 2015 – 20 febbraio 2016), dialogando con gli spazi suggestivi della navata e dell’abside.

Anche questo lavoro, attraverso l’uso della sua peculiare tecnica artistica, è espressione della capacità di Domenico Bianchi di innovare l’antica tradizione della lavorazione della ceroplastica, coniugandola ad un linguaggio caratterizzato da segni e linee sinuose che animano le superfici, conferendo profondità e spessore.

La produzione artistica della seconda metà degli anni ottanta, caratterizzata da segni intagliati o graffiati, si avvaleva anche dell’uso del gesso come superficie pittorica. Una sperimentazione che testimonia l’importanza che, per l’artista, hanno sia i materiali, che fanno da supporto al colore, sia la tecnica utilizzata per delinearne la struttura compositiva.

È, dunque, la materia, come la cera e la fibra di vetro, insieme alle sottili foglie dei metalli in essa affogati (oro, platino, argento e rame), che suggeriscono a Domenico Bianchi l’invenzione delle forme, la variabilità del timbro dei colori, la definizione dello spazio.

Egli afferma che “l’arte è una forma di conoscenza così complessa, perché attraverso la forma si partoriscono intuizioni ed emozioni con le quali si trasmette un esperienza sorprendente della realtà. E sono sempre i valori fondamentali della pittura, quelli più antichi ad essere strumento di rappresentazione. Non c’è nessuna comunicazione visiva senza una struttura formale che dia senso, cioè che dia equilibrio, durata e proporzione all’immagine”.

La cera al naturale e il palladio, di colore bianco argenteo, connotano le qualità di questo Senza titolo, qualità giocate sulle variazioni minime di spessore, sulla trasparenza, sulla eleganza e la preziosità del segno. I materiali utilizzati vengono scelti proprio in funzione delle loro capacità di conferire trasparenza luminosa alle forme generate dalla mano dell’artista.

La struttura compositiva è determinata da un segno, il “soggetto” del quadro, che genera un nucleo centrale aperto, in movimento, suggeritore di possibili immagini, una sfera, un globo, e circondato da innumerevoli punti degradanti nelle dimensioni, a perdersi in profondità nella trasparenza della cera.

Questo lavoro, come altri, si avvale anche dell’uso del computer – strumento utilizzato a partire dal 1989 – a supporto della trasformazione del disegno bidimensionale in una forma sferica, interessato non dell’aspetto tecnologico ma dalle infinite forme che la sfera può così assumere.

Rosaria Raffaele Addamo