Il percorso relativo al trasporto via terra si snoda in nove sezioni espositive dedicate alla mostra permanente del carretto siciliano.

SEZIONE 1
IMMAGINI E SIMBOLI

Al centro della stanza un carretto di area palermitana, con i suoi colori vivacissimi e le storie del repertorio epico-cavalleresco raffigurate sui laterali.
Sulle pareti della stanza le immagini si riferiscono ai simboli che ritroviamo in tutto il carretto.
Costruttore: Giuseppe Badalamenti fu Giovanni, Partinico 1974.
Scene: “I paladini assaltano di sorpresa l’accampamento di Gradasso”
“Accanita battaglia tra paladini e Magonzesi”
“I paladini cingono d’assedio la città di Vienna”
“I paladini costringono alla fuga una guarnigione saracena”

SEZIONE 2
EVOLUZIONE DEI MEZZI DI TRASPORTO

Questo settore descrive l’excursus storico dei mezzi di trasporto, dall’invenzione della ruota ai mezzi utilizzati dall’antichità fino al tradizionale carretto siciliano, illustrato con una adeguata documentazione (grafici, disegni, mappe) e con l’esposizione di elementi del carretto.
Nel percorso museografico dedicato al Carretto è, dunque, possibile ripercorrere dalle origini la storia dei mezzi di trasporto tradizionali come, ad esempio, il carruzuni ri voi.
Qui con l’ausilio di pannelli didascalici, riproduzione d’epoca, fotografie storiche, immagini di ex voto dipinti, ricostruzioni di ambientazioni, si possono approfondire i fenomeni di ascesa culturale del mezzo di trasporto terrestre: dalla lettiga e portantina al carretto dipinto, soffermandoci, in particolare, sulla rete viaria e sul contesto sociale della Sicilia nell’Ottocento, periodo di diffusione del carretto dipinto.
La Sicilia fu priva di strade fino a metà del Settecento. Infatti, in questo periodo, la rete viaria era costituita da piste naturali, percorribili soltanto a piedi o a cavallo, denominate trazzere: cammini – per lo più disagevoli – che la conformazione del territorio nonché le pioggie costringevano,spesso, a continui interventi di manutenzione e talvolta alla costruzione di un pur rudimentale fondo stradale.
Il carro era pertanto usato solo nei centri urbani più grossi dotati di strade carrozzabili, fra le quali il tratto Monreale – Palermo, come pure quello che congiungeva Palermo a Bagheria e ai Colli, luoghi di villeggiatura dei nobili. In assenza di strade transitabili con mezzi pesanti, l’unico mezzo di trasporto per i lunghi viaggi era la lettiga, utilizzata da funzionari governativi, viaggiatori stranieri oppure feudatari.
Queste piste erano tanto disagiate da preferire il viaggio via mare, per poi – attraverso improponibili tragitti terrestri- raggiungere l’interno.
Il trasporto terrestre, per lungo tempo, fu interamente affidato ai mulattieri, gli unici che riuscivano a superare le impervie vie di comunicazione che collegavano i centri costieri con l’interno della Sicilia.
Il trasporto dei prodotti era, quindi, assicurato esclusivamente dai vurdunara, mulattieri che operavano al servizio dei grandi proprietari terrieri o in proprio, da soli o in gruppo.
Subito dopo il raccolto fra agosto e settembre, era abbastanza frequente incontrare una retina di muli – cioè muli attaccati tra di loro da una cordata che fungeva da redine a ciascun animale – che trasportava persone o merci.
Nel caso di lunghi percorsi al trasferimento delle persone di riguardo si provvedeva con lettighe i cui conducenti appartenevano allo stesso gruppo sociale dei verdunara.
Lungo gli itinerari si trovavano dei posti di ristoro, privi di ogni comodità, i cosidetti funnachi dove i commercianti, i pellegrini o i mulattieri, i vurdunara potevano sostare per la notte e trovare da mangiare per una modestissima somma.
In Sicilia, la diffusione del carretto avvenne nei primi decenni dell’ottocento, in parallelo alla costruzione, da parte del governo borbonico, di strade sufficientemente percorribili da mezzi pesanti che consentirono lo sviluppo degli scambi commerciali via terra, sostituendo in parte quelli effettuati a dorso di mulo o via mare.
Con l’incremento e il miglioramento della rete stradale, il carro venne perfezionato strutturalmente e adattato in funzione delle merci da trasportare: i prodotti agricoli, carbone, zolfo, concime ecc. oltre che naturalmente di persone.
Il carretto si rivelò il mezzo più veloce per il trasporto di uomini e cose e soppiantò rapidamente il primitivo carruzuni ri voi, carro con timone centrale trainato da due buoi, il cui uso è documentato già all’epoca di Federico II.

SEZIONE 3
CARRETTO DIPINTO: FONTI LETTERARIE E ICONOGRAFICHE

Stabilire una data di nascita del carretto dipinto è piuttosto difficile. Presso antiche civiltà mediterranee ritroviamo veicoli simili, come ad esempio il carro Assiro – Babilonese raffigurato in un bassorilievo esposto al British Museum di Londra.
Studi archeologici fanno risalire l’origine del carretto al carro siciliota, il “sichelas schema” ricordato da Pindaro nell’ Ode a Gerone di Siracusa.
I carri dipinti con immagini sacre sono descritte dai viaggiatori stranieri, quali Gonzalve de Nervo, che nel 1833 appunta nei suoi diari di aver incontrato sulla strada – che da Termini Imerese porta a Palermo – alcuni carretti decorati con le immagini della Vergine e dei Santi.
Ma, anche il geografo Eliseo Reclus, nel 1865, vede, a Catania e dintorni, carretti con laterali raffiguranti scene anche non sacre.
La pittura del carro nasce probabilmente dal desiderio di ripetere l’usanza pittorica che aveva caratterizzato le carrozze dei Signori, ma fin dall’inizio nel carro tale uso si presenta con caratteristiche formali e tematiche diverse.
Oltre al desiderio di ascesa sociale da parte dei carrettieri, la pittura del carro presenta una funzione concreta cioè quella di proteggere il legno dalle intemperie.
Una funzione apotropaica di protezione dai pericoli, che i carrettieri avvertivano nel percorrere strade impervie ed insicure, è da riscontrarsi nelle raffigurazioni sacre.
Al centro dell’orizzonte esistenziale dei carrettieri vi era il carretto che rappresentava il bene nel quale affermare la propria identità.
Il carretto diveniva così uno status symbol, che il carrettiere poteva esibire a dimostrazione delle proprie possibilità economiche. Le raffigurazioni, in particolar modo le scene di paladini e le immagine dei santi, avevano anche una funzione di tipo pubblicitario, dal momento che i venditori ambulanti, tra i primi ad usare il veicolo, ricorrevano a vivaci colori per attirare l’attenzione dei clienti.

RAFFIGURAZIONI TEMATICHE
In una cultura profondamente segnata dalla precarietà dei mezzi di sussistenza, è naturale che uno stesso prodotto artistico possa assolvere a diverse funzioni, che nel caso della pittura del carro si riassumono in : protettiva del legno dalle intemperie naturali, magico – religiosa di allontanamento dalle forze del male, pubblicitaria, cioè di identificazione e richiamo, e di prestigio sociale da esibire in occasione delle feste o delle fiere.
I pittori del carro, ispirati dall’usanza di dipingere le portantine e le carrozze nobiliari, ma anche dalla conoscenza della narrazione biblica nel patrimonio dei mosaici di Monreale e della Cappella palatina, inizialmente riportano sui carri le immagini dei Santi cui la tradizione attribuisce patrocini e poteri taumaturgici.
Quando scompaiono dai laterali e vengono sostituiti dai paladini e dagli eroi delle leggende cavalleresche, i santi restano scolpiti sulle chiavi e sui pizzi e conservano funzioni spiccatamente apotropaiche.
A partire dall’Ottocento, il carretto siciliano si è configurato come un vero e proprio libro figurato ambulante, per mezzo del quale si sono diffusi repertori letterari, storici, fiabeschi come testimoniano le scene riportate sui laterali che narrano leggende cavalleresche, come la storia dei paladini di Francia, eventi storici legati al periodo normanno, al Vespro siciliano, alle imprese garibaldine, alla storia romana, ad episodi biblici, agiografici, ad opere liriche (come la Carmen, la Cavalleria rusticana), a romanzi come i tre moschettieri, Divina Commedia e scene reali.
Ogni teca del tunnel descrive una tematica. Le ultime tre sono dedicate a tecniche pittoriche, ai motivi decorativi e ai finimenti indossati dal cavallo.
La tecnica pittorica tradizionale prevede, dopo la fase della coloritura che consiste nel dipingere la superficie prima di un bianco e poi di giallo, la decorazione o perfilatura in nero: il pittore dipinge i motivi decorativi in prevalenza fitomorfi o zoomorfi. La figurazione rappresenta l’ultima fase di pittura del carro. Le scene precedentemente disegnate ad inchiostro a matita sulle “veline”, vengono ricalcate sullo scacco con la punta del manico di un pennello detto u ricaiccaturi.

Quindi si procede alla campitura dei personaggi, alla definizione dei profili e dei lineamenti.

SEZIONE 4
SIMPOSIO

In questa Sezione sono esposti gli elementi costitutivi del carro al fine di spiegare la ricca iconografia e le decorazione scultoree.
Il Simposio nella tradizione romana rappresenta un luogo di convivialità dove discutere e rilassarsi, sorseggiando vino o assaporando enogarum.
Nel nostro itinerario rappresenta una sosta di approfondimento del percorso museologico, dove è possibile osservare le parti costitutive del carretto esposte singolarmente.
Laterali, portelle, casse d’asse sono rivitalizzati attraverso la proiezioni di documentari che illustrano le ragioni che hanno portato un coacervo di maestranze ad accomunare, in questo straordinario mezzo di trasporto, il sapere immateriale al sapere materiale.

SEZIONE 5
GALLERIA DEL NORMANNESIMO

Questa galleria è dedicata a un approfondimento di una tematica storica ampiamente trattata nei laterali del carro: Ruggero il Normanno. E’ interessante l’accostamento storico-antropologico nell’interpretazione di elementi cari al popolo siciliano.
Il “Normannesimo”, prestigiosa opere pittorica, nasce dalle suggestioni dei vari aspetti caratterizzanti l’arte normanna in Sicilia (architettura,scultura, decorazione musiva) e da tutte quelle contaminazioni che attraversano nella cultura locale (bizantina, araba e dell’artigianato delle maestranze sicule).
In tale Opera sono trasferite, in immagine pittoriche, scene significative che rappresentano la storia della conquista normanna in Sicilia a partire dalla battaglia di Cerami (1063) con Ruggero I d’Altavilla fino alla morte di Federico II di Svevia. Queste immagini furono acquisite dall’artista popolare siciliano che li produsse nei laterali di carretto, perché molto vicine agli ideali, usi e tradizioni tipicamente siciliane, ancorate a una società con una struttura feudale.
Il carretto, esposto al centro del percorso, raffigura alcuni episodi della vita di Ruggero il Normanno.

TECNICA
L’intero ciclo trae ispirazione dall’arazzo di Bayeux, una striscia di tessuto di lino e lana, alto circa 50 cm e lungo 70,34m, oggi custodito al museo di Bayeux in Normandia.
Nell’arazzo è presentata la conquista normannna dell’Inghilterra ad opera di Guglielmo il Conquistatore, dopo la celebre battaglia di Hastings del 1066.
Il ciclo il Normannesimo è costituito da 50 opere realizzate da Ernesto Graditi con tecnica ad olio ed i colori: verde vescica, rosso di Marte, ocra gialla scura e chiara, blu di cobalto scuro.
Alle tele sono applicate inserti di iuta grezza, come frammenti ricamati di lana a punto pittoresco e a punto d’erba. Nelle parti a fondo nero figurano iscrizioni in latino medievale inerenti alla scena rappresentata nel dipinto.
Le cornici, che racchiudono le opere, sono in legno di tiglio, realizzate artigianalmente – su progetto unico – con elementi decorativi ispirati al repertorio iconografico normanno; la cornice presenta una sezione centrale di colore nero su cui trovano alloggio, a comporre la decorazione, i vari pezzi, dipinti nei cinque colori già citati, che riportano alla memoria disegni geometrici posti all’interno delle casse dei carretti.

SEZIONE 6
AMBIENTAZIONI

ACQUAIOLO
Colui che annunciava così l’acqua fresca era tutto vestito di bianco, e portava in una mano una piccola tavola istoriata e ornata di placche di rame lucido, sulla quale posavano alcuni bicchieri pulitissimi e un fischietto di “zambù”, sorta d’anice; nell’altra mano egli teneva una gran brocca piena d’acqua gelata. Gli assetati si appressavano, e per un centesimo avevano da lui un bicchiere colmo d’acqua con alcune gocce di “zambù”.
Estr. da Gastone Vuiller “ La Sicilia” fratelli Treves 1897

FINIMENTI E BARDATURE
Le bardature riportano stemmi, stelle, sole ed aquile.
Nell’Ottocento si diffonde l’uso di “vestire” il cavallo con finimenti detti aimmiggi riccamente decorati a seconda della circostanza per la quale vengono usati.
Si distinguono in “giornalieri” o “da festa”.Gli artigiani detti u siddunaru e u varnamintaru realizzarono tali ornamenti: pon pon di lana di varie tinte, nastri multicolori, specchietti, piume variopinte, sonagli e immagini di santi sono elementi decorativi di questi trionfali finimenti.
Il cavallo viene ricoperto ovunque: nel basto, nel pettorale, nella testiera, nel cavezzone, nel sottopancia, nella groppiera. Sui paraocchi, disegnati o ricamati, vengono ripresi i due personaggi principali delle scene dipinte sui laterali oppure immagini dei santi protettori.
Sul basto vengono posti altissimi pennacchi, talvolta due uno sull’altro, manufatti artigianalmente con penne di coda di cappone i inoltre dei portafiori nei quali sono inserite camelie artificiali.

CARRETTO E FUNZIONI
Si documentano in questa sezione gli usi (vendemmia, saline, miniere di zolfo, cave di tufo, trasporto di merci varie, pellegrinaggio) e le funzioni del carretto, nel tempo, con l’utilizzo delle differenti tipologie di carri in base al trasporto da assolvere: carriettu tirraluoru, fuimmintaru, vinaluoru ( o a vinaluora).Inoltre, sono illustrati vari momenti del lavoro e di festa.
Il carretto rappresenta il mezzo di trasporto tradizionale di merci in uso fino agli anni Sessanta. In occasione di gite, feste, matrimoni, pellegrinaggi veniva utilizzato per gli spostamenti della famiglia del carrettiere. Con il perfezionamento della rete viaria, il carro viene adattato a seconda delle merci da trasportare. Nella Sicilia Occidentale si riscontrano, infatti, tre tipologie di carretto che si distinguono per le dimensioni della cassa e il taglio delle fiancate : il tirraluoru, con i laterali di forma rettangolare più corti e bassi, adatto al trasporto di terra, sabbia e pietre; il fuimmintaru, con i laterali di forma rettangolare, per il trasporto di grano e paglia; il vinaluoru, con le fiancate di forma trapezoidale e i due tavulazzi, più inclinati, per il trasporto dell’uva e del mosto.

IL SALE
I salinari, contadini del mare, coltivano la salina come un campo da arare e irrigare sfruttando le forze eoliche.
L’ingegnoso sistema di passaggio delle acque per le vasche comunicanti – la fridda, la retrocalda, la mediatrice, la ruffiana e la caura – si conclude nell’ultima fase con la quagghiata del sale.
Sistema che coinvolge l’intelligenza dell’uomo e le forze della natura.

LE CAVE
Le cave testimoniano le tecniche lavorative ed astrattive che hanno dato forma a splendide architetture sulla costa e paurose gallerie sotterranee dove sono ancora visibili i tagli di pietra.
Scopriamo quanto è antico questo sapere “della mano” nelle Cave di Cusa, che ci offrono la lettura diacronica della costruzione dei templi selinuntini attraverso fasi lavorative delle colonne, alcune soltanto tracciate e altre quasi del tutto scavate.

FONDACO
Stazione di posta per carrettieri, mulattieri pellegrini e commercianti
La vita del carrettiere si svolgeva sulla strada e, camminando stratuna stratuna, egli percorreva trazzere impervie e solitarie con soste più o meno forzate nei funnachi sorte di locande o meglio arcaici “autogrill” piuttosto economici. In queste locande si poteva mangiare un piatto di pasta a poco prezzo oppure ci si doveva accontentare di mangiare pani e cumpanaggiu.
Questi luoghi costituivano un momento di aggregazione tra i carrettieri che si scambiavano le esperienze di vita, si raccontavano le loro avventure, si informavano sui prezzi e si sfidavano l’un l’altro nel canto.

SEZIONE 7
MUSEO DEL LAVORO
All’interno di tale sezione, si fa riferimento alla storia di Palazzo d’Aumale, dal momento che in origine l’edificio era una cantina collegata con la fattoria dello Zucco dove si coltivavano enorme distesi di vigneti (l’utilizzo di un torchio e di qualche botte crea l’idonea ambientazione).
Il trasporto delle botti di vino conservate all’interno della suddetta cantina veniva effettuato proprio con i carretti.

SEZIONE 8
BOTTEGHE: CARRADORE, FABBRO, FERRAIO E PITTORE
BOTTEGA DEL CARRADORE
Diversi carretti contraddistinguono le aree di diffusione (palermitana, castelvetranese, trapanese, catanese), corredata dai grafici, gigantografie e reperti che documentano il ciclo lavorativo e le tecniche costruttive del carro. Uno spazio è dedicato alla cerchiatura della ruota: la firratina, cioè l’applicazione del cerchione in ferro rovente, mediante asci, alla ruota di legno.

BOTTEGA DEL FABBRO FERRAIO
Nel banco vi è posto un mantice azionato da una manovella che soffiando sulla carbonella, alimenta il fuoco, elemento indispensabile per arroventare le parti in ferro da forgiare.

BOTTEGA DEL PITTORE
Qui, un carretto ed una ruota documentano le varie fasi pittoriche delle raffigurazioni: preparazione del legno, stuccatura, coloritura, decorazione e figurazione.