La pittura, dalla fine degli anni 70 a oggi, ha conosciuto ennesimi e ciclici ritorni. E se l’allora primo punto di ritorno era stato una sorta di neo espressionismo internazionale, quello attuale finalmente è libero da contrapposizioni ideologiche o da citazionismi trasversali. Quella attuale, fatta eccezione per i “grandi vecchi dell’arte”, è un tipo di pittura in cui si confrontano, solo per fare alcuni esempi, Elizabeth Peyton e la cosiddetta “Scuola di Lipsia”. Le opere di Fabio Marullo s’inseriscono di diritto in questo territorio fortunatamente poco definibile, dove la sensibilità e l’esperienza personale contano più dello stile, della maniera o della mera appropriazione. Come nei dipinti della Peyton, Marullo trova i suoi soggetti da fotografie trovate (su giornali, riviste o catturate dalla tv) o scattate personalmente durante incontri o viaggi realmente e personalmente effettuati. Questo mondo, o meglio questo sistema d’immagini esteriori viene riconvertito dall’artista in visioni personali e oniriche attraverso una composizione che oscilla tra astrazione e figurazione. Nessuna intenzione narrativa o razionale è sottesa a queste composizioni che si affidano piuttosto all’effetto perturbante del “non senso” o dell’evidente ambiguità. La pittura di Fabio Marullo, secondo una strategia tipica delle prime avanguardie del 900, non vuole certamente rassicurare ma nemmeno si arresta sulla soglia della sorpresa (come semplice effetto fine a se stesso). Ciò che si mostra appartiene, infatti, in gran parte, a ciò che si maschera o si rimuove nella scena del sogno; e con uno psicoanalista all’ascolto con una buona dose di disincanto e d’ironia piuttosto che di bonaria e inutile comprensione. (Giovanni Iovane, Archivio S.A.C.S. 2013/14))

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Fabio Marullo

"Untitled", 2019-2020, acrilico su moquette, 200 x 300 cm - Courtesy dell'artista