Il “fare” è carattere distintivo di tutta l'attività di Giovanni Lo Verso, come artista, ma anche come scenografo, direttore artistico di eventi, restauratore. La profonda conoscenza delle tecniche e della materia, acquisite a partire dai suoi studi in scultura presso l'Accademia di Belle Arti di Palermo, lo hanno portato, fin agli esordi, a sperimentare un linguaggio poliedrico in grado di ben rappresentare la contemporaneità e guardare al futuro, con la consapevolezza di chi ha alle spalle la salda comprensione del passato. La partecipazione alle edizioni de "Il Genio di Palermo", nel 1999 e nel 2000, ha fatto conoscere la sua capacità di riflettere, in maniera ironica, sul presente, attraverso l'utilizzo di materiali differenti, ferro, legno, pietra, e di tecniche diverse, quali la retroilluminazione, il fotomontaggio, la scultura volutamente anti monumentale. Recentemente è tornato alla più tradizionale modellazione dell'argilla cotta al forno, o al cemento, per realizzare un unico modulo geometrico, quello del cubo, cui affidare, ancora una volta, il suo sguardo ironico sul dimensione dell'esistere, ma con quella responsabilità etica che caratterizza tutta la sua ricerca. Così le facce del cubo diventano facce "vere", ritratti dalle cento, mille espressioni che, da un lato, tornano a farci riflettere sulle altrettanto infinite identità dell'uomo, di pirandelliana memoria, dall'altro ci suggeriscono l'idea del gioco, del caso e del destino che il lancio del dato può generare. Una nuova “contaminazione semantica” (come affermava per il Genio di Palermo del 1999 Eva Di Stefano) che porta con sé, adesso, una pratica manuale che si concretizza in questi volti, talvolta anche inquietanti, come tasselli intercambiabili di un unico paesaggio umano. (Rosaria Raffaele Addamo, Archivio S.A.C.S. 2021/22)

Giovanni Lo Verso

"Annamario", 2019, terracotta policroma, 25x25x25 cm