Vitone

Nato a Genova nel 1964, vive a Berlino.

Dalla fine degli anni Ottanta, espone in Italia e all’estero in gallerie private e spazi pubblici. La sua operatività si affianca a quella di giovani artisti attivi in ambito concettuale, di cui fanno parte Roberto Costantino, Simonetta Fadda, Marco Formento, Ivano Sossella, Tommaso Tozzi e Cesare Viel.
Al centro della sua ricerca artistica c’è l’analisi dei meccanismi che legano l’uomo contemporaneo al suo luogo di origine e all’ambiente con cui entra in relazione: il complesso rapporto tra il luogo e la modalità di rappresentazione e percezione dello stesso, tra la materialità delle cose e dell’esistenza e la loro perdita topologica, con una particolare attenzione rivolta alle trasformazioni sociali conseguenti all’inserimento di nuovi caratteri culturali nelle tradizioni locali. La sua poetica è tutta giocata sull’idea di luogo, inteso come spazio di una esperienza antropologica, e la sua perdita, attraverso l’utilizzo della cartografia, la cultura materiale e il monocromo.

I suoi esordi sono influenzati dall’arte concettuale. Nel 1988 presso la Galleria Pinta a Genova dispone sul pavimento una planimetria 1:1 della galleria stessa, realizzata su carta fotocopiata, creando attraverso la rappresentazione grafica e il procedimento fotostatico, una “spersonalizzazione” dello spazio e una sua “ripetibilità” illimitata. L’effetto straniante è contraddetto dal coinvolgimento fisico del visitatore che, calpestando la pianta e imprimendovi una traccia materiale, ne conferma la dimensione di spazialità effettiva.
Al Palazzo Mediceo di Serravezza, in occasione della mostra “Agire il mondo”, Vitone realizza, utilizzando depliants turistici sulla località stessa della mostra, una striscia continua applicata alle pareti, dove l’immagine frammentata e ricomposta secondo uno schema ripetitivo, aderendo al perimetro della stanza, si apre fittiziamente all’ambiente esterno.
L’installazione elaborata per lo Studio Gennai di Pisa del 1988 consiste in un cerchio ottenuto assemblando carte geografiche fotocopiate, “controllato” da un centro stabilito tramite un filo a piombo. Vitone enuncia lo stato di “perdita topologica”, avvalendosi della rappresentazione grafica dei luoghi per sottolineare l’abolizione del legame emotivo e culturale con il luogo d’origine ed impiegando la tecnica della riproduzione fotostatica per rimarcare la condizione di omologazione e di spersonalizzazione del luogo geografico di cui persiste soltanto un’informazione d’esistenza.

Negli anni Novanta Vitone sceglie di contaminare le sue opere con altre discipline quali la geografia, l’antropologia, la sociologia, la musica e la letteratura. Da qui nascono le collaborazioni con il geografo Massimo Quaini, con l’entomusicologo Roberto Leydi, con l’antropologo Franco La Cecla, con i letterati del Gruppo ’63.
Al Palazzo delle Esposizioni di Roma, nel 2000, con il progetto “Stundàiu” Vitone ricostruisce la città di Genova rilevando alcuni aspetti peculiari della sua cultura e della sua conformazione fisica. Genova diventa così la metafora del luogo primigenio, da cui partono le basi del pensiero e dei sentimenti, con le strade, il paesaggio, gli odori, i sapori, la storia e tutto quello che concorre a creare l’esperienza individuale. All’interno del percorso concepito per la mostra, una fontana che con la sua acqua emana l’odore salmastro rappresenta simbolicamente il mare di Genova; video che proiettano 4 gruppi vocali interpreti di brani di trallalero, tipica espressione musicale genovese; un corso di cucina con lezioni teoriche e pratiche che raccontano delle origini, delle contaminazioni e delle prospettive future di una cucina ricca di sapori; infine la “bisciueta”, caratteristico salvadanaio genovese realizzato in terracotta rossa e porosa con la forma di un mattone pieno, simbolo dell’unico investimento sicuro del ligure, quello immobiliare, e anche pretesto ironico per sottolineare la tirchieria del genovese medio. Cibo e musica sono per Vitone soggetti protagonisti della primaria conoscenza di una cultura diversa, alla stessa maniera in cui l’atto del conoscere e rappresentare luoghi attraverso mappe da studiare, distruggere e ricomporre nella prassi del ripercorrere è uno dei motivi ricorrenti della sua produzione artistica.
Anche per il Comune di Zingonia ha studiato il progetto per uno spazio che diventi un luogo d’incontro per gli abitanti di Zingonia, cittadina senza una piazza vera e propria, utilizzando come elemento centrale un percorso e il gioco.

Vitone si concentra sulla ricomposizione di una sua personale geografia di un luogo attraverso la memoria utilizzando elementi organici come il vino, la polvere di zafferano, ed elementi atmosferici come l’inquinamento, la polvere i gas di scarico che vengono plasmati dall’artista e resi materia della pittura.
A questa sua pratica artistica, si lega la sua personale ricerca sul monocromo, percorso iniziato nel 1988 con l’Invisibile informa il visibile e che procede con i monocromi di zafferano nel 2000 e Le Finestre del 2004, cui si aggiunge il progetto che l’artista ha appositamente realizzato nel 2005 per Palazzo Belmonte Riso. Vitone ha raccolto le polveri dei tre piani del palazzo che costituiscono la materia cromatica dei dipinti, fatti di giochi fluidi di luci ed ombre.

I tre acquerelli di polvere su carta, di grandi dimensioni Piano Terra, Primo Piano (Piano Nobile), Secondo Piano rivelano l’essenza del palazzo attraverso la sua polvere, un materiale labile e nello stesso tempo duraturo che trattiene le tracce della memoria legandole alla storia presente. Le tre opere si configurano come una rimappatura intesa a recuperare la memoria di cui ogni luogo è portatore, nel caso di Palazzo Belmonte Riso, memoria della storia del palazzo di cui sono ancora visibili le tracce: il bombardamento della guerra, il riadattamento a Casa del Fascio, il degrado e l’abbandono per approdare alla riqualificazione architettonica a sede museale.

I lavori di Vitone successivi ripropongono le tematiche a lui congeniali: nel 2007 presso la Galleria Emi Fontana Vitone propone Le ceneri di Milano: una polvere finissima frutto di incenerimento dei rifiuti di Milano che inaugura la serie degli autoritratti di città, il ritratto di un luogo attraverso ciò che rimane della nostra quotidiantità e della nostra vita;

nel 2009 “Ultimo Viaggio” presso la Nomas Fondation di Roma narra la memoria di un viaggio in automobile da Genova al Golfo Persico compiuto dall’artista adolescente insieme alla propria famiglia, ripercorso attraverso gli oggetti dell’installazione: la sabbia, la Peugeot 204, fotografie, souvenir.

Partendo dall’autobiografia dell’artista, lo spettatore rintraccia la propria storia in un immaginario collettivo, e nello stesso tempo l’impossibile ripetersi di quell’esperienza per i cambiamenti politici che hanno trasformato la geografia dei luoghi; nel 2011 presso la Galleria Cesare Manzo di Roma l’artista presenta “Isole recluse. Ottologia della villeggiatura”, una serie di carte geografiche che ricostruiscono la genesi del confino italiano degli anni Trenta durante il periodo fascista; una riflessione sull’internamento, propagandato come una “villeggiatura”, sul concetto di patria, di identità culturale e di memoria.

Benedetta Fasone